Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Ratzinger, Papa della parola

02/01/2023 14:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2023,

Ratzinger, Papa della parola

La Repubblica

Gli incontri nei giardini vaticani anche dopo le dimissioni, gli scontri e il rispetto reciproco per un pontefice che guardò alla Chiesa più che a se stesso

La Repubblica - 02 Gennaio 2023

 

di Enzo Bianchi

Con la morte di papa Benedetto XVI usciamo da una situazione non facile vissuta purtroppo da molti cattolici che, nella debolezza della loro fede e nella scarsa assiduità con il Vangelo, non sono stati in grado di accettare che il papato è un servizio al quale il Signore chiama, nient’altro che un servizio, dunque temporaneo e soggetto alla fragilità e ai limiti di chi vi è stato chiamato.

 

Joseph Ratzinger, quando ormai vecchio pensava nel suo ultimo tratto di vita di dedicarsi alla ricerca teologica, è stato eletto vescovo di Roma. Aveva raggiunto i settantotto anni, dunque non poteva immaginare un pontificato lungo, ma teneva davanti a sé più che mai l’esodo che avrebbe compiuto da questo mondo. Era un uomo che si è sempre sentito decentrato rispetto a Gesù Cristo, munito di una fede salda, che lo portava a guardare più alla chiesa che a se stesso. Non ha mai cercato l’applauso, anzi gli davano fastidio i battimani durante le liturgie in San Pietro, e certo non si concedeva facilmente ai media, quasi sempre critici e severi nei suoi confronti.

 

Per questo, dopo aver considerato le sue forze fisiche e intellettuali, aver cercato di leggere il tempo che avanzava con le sue novità e i suoi drammi, e soprattutto esercitandosi all’ascolto della propria coscienza, ha deciso di rinunciare a svolgere il ministero della comunione, diventato anche più difficile in una chiesa che sta vivendo la trasformazione da un cattolicesimo monolitico a una cattolicità universale e plurale.

 

Benedetto XVI ha compiuto un atto con piena adesione alla realtà, cosciente dei propri limiti. Certo, faceva un gesto che non era avvenuto da secoli, un gesto che poteva sembrare, dopo Giovanni Paolo II, quello di un anti-eroe, di chi fuggiva dalla croce – si è detto −, ma in realtà faceva ciò che doveva fare, anche se molti cattolici malati di papolatria non riuscivano a capirlo. Ma era nella sua vocazione essere un papa poco compreso e anche molto contestato fino alla vigilia della morte, con accuse insensate. Così hanno fatto di lui ciò che hanno voluto: “un pastore tedesco”, un pontefice rigido e severo, un papa che “riportava indietro la chiesa”.

 

Ho conosciuto e incontrato più volte Ratzinger a partire dal 1976, quando era teologo e in seguito cardinale, ho discusso con lui del rapporto tra Bibbia, Parola e chiesa e lui mi ha chiamato come esperto a due sinodi. Sono anche andato a trovarlo come papa emerito e ho passeggiato con lui nei giardini vaticani conversando sui temi della fede che consideravamo più urgenti e ci stavano a cuore.

 

Non sono un adulatore di pontefici, sono anche stato apertamente critico nei suoi confronti per alcune decisioni prese, e lui ha sempre ascoltato le mie difficoltà mostrando umiltà, mitezza, capacità di ascolto verso chi manifestava con lealtà il suo disaccordo.

 

I cattolici non dimenticheranno il capolavoro delle sue omelie, vera opera di padre della chiesa, e tutti dovranno ringraziarlo per le sue parole di papa quando affermava che “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”, e che “la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione”, contro ogni tentazione di fondamentalismo, di intolleranza e di violenza da parte dei credenti.

 

Consegnando il premio Ratzinger ad Arvo Pärt disse queste parole: “Dio ha il volto di Gesù Cristo: questo è il credo cristiano di cattolici, protestanti e ortodossi. Egli ci ama sempre, ama il peccatore che afferra le sue braccia tese e ci amerà sempre fino ad abbracciarci nella morte”.